lunedì 21 dicembre 2009

To live...Vivere (Engl.,It.)



Una delle cose più difficili del vivere è il fatto di sentire di vivere davvero.
In Africa questo problema non si pone, perché la lotta è quella costante contro le malattie e la fame quindi le aspettative rimangono molto basse. La maggior parte delle persone ha l'obiettivo di sopravvivere, altri salgono a quello di comprare cose -vestiti, scarpe e cellulare-o costruire una casa.
A pensarci così sembra che l'Europa e la nostra realtà sia lontana anni luce da tutto ciò ma se guardiamo meglio anche da noi molti hanno l'obiettivo costante di trovare il cibo da mettere in tavola ogni giorno, il lavoro per mantenersi e poi, la maggior parte, è alla ricerca costante di vestiti e gadget vari mentre pochi -certo più che in Africa- sono alla ricerca di ben altro.
Mi trovo spesso a discutere con me stessa o con altri della felicità che si guadagna attraverso la realizzazione, dell'assenza di tempo per le molte cose che ameremmo fare, per le persone che amiamo, per tutto quello che insomma ci dà vera felicità.

Penso spesso a come si viva, a volte, con una maschera che ci si mette addosso all'inizio e che dopo è difficile togliersi.


Ho avuto la fortuna di conoscere in questo ultimo anno molte persone che hanno deciso, intorno ai 30 anni o dopo, di buttare questa maschera che gli calzava stretta.
Non che tutti portino una maschera, anzi forse si, ma è la maschera che ci si costruisce e quindi, se fatta bene, piace...per altri è diverso, dentro brucia qualche cosa che non ha ancora trovato un foro di sfogo verso l'esterno, pesano errori, e forse assenze e quindi, piano piano, tutto comincia a divenire sfocato, perdere di senso e il soffocamento è letale.
Quelli che ho incontrato hanno deciso di mollare tutto per andare oltre e trovare la propria strada, molti di questi hanno trovato la propria risposta nell'aiutare gli altri. 


Molti professionisti, produttori di beni e capitali, software, etc. che ad un certo punto hanno sentito la propria produzione come sterile e quindi si sono dati un punto e a capo da soli.


Mi sembra che Verga facesse l'esempio delle ostriche, ancorate ad un scoglio ma in pericolo di essere trasportate via dalla corrente. La loro sopravvivenza dipende da quell'ancoraggio, che per Verga è il rimanere legato all'idea di famiglia, casa, tradizione e cultura. Il distacco, il voler alzare la testa, rappresenta il rischio.
Secondo me, invece, nella vita ci si può muovere come ostriche, che se perdono l'appiglio sono semplicemente trascinate via o come pesci, che sanno andare con o contro la corrente.
Chiaramente non è facile, e chiaramente non è cosa da realizzarsi da un giorno all'altro ma, certo, nel momento in cui tutto sembra starci davvero stretto, forse è il caso di mettere un punto e prendere una pausa per riflettere dove e come si stia andando.


(in coda un articolo in italiano su una donna che mi ha colpito molto, si commenta da solo)


.-.-.-
I think that in the life the most difficult thing is to really live the life.
Here, in Africa, "to live" means often just to survive to death, diseases and hungry. Just few time the expectations can go up to something more but, mostly, it is to have an house or buy clothes, shoes and mobile.
Where is it the difference with our societies?
Not so big i think. Many of us fight against hungry and to mantein-find a job, to have more clothes and things like this...just few look up to something else.
I found often myself discussing about happiness and how to get it through the realization of ourselves.
In this last year I had the possibility to meet some persons looking for it. They decided to change life because they found themselves closed in a mask that before was "right" but now it is not.
Many persons build their mask day after day and they are comfortable in it. Others discover one day that it is too strict and they can not breath. That's why at 30 as well as 40, 50 or 20 years old, they are looking for something different..and many time the answer is to be useful for the others.
Many of them are businessmen or professionals, they produced good and money, software, etc. but they realize that it was just a sterile production. The decide to stop and push "enter", to go forward.


It is important, sometimes, to stop, breath and look around and inside to check if everything is OK, if we are always loving what we actually are, and have the courage to change if we dislike.
In the life you can be like something washed away by the water of a river or  a fish, able to move up and down in the water, and able to resist or use the water flow.
It is not easy, but i think it is possible.




Dal Corriere della Sera 21 marzo 2009:
«Mia figlia morì per curare i bambini africani e fu lasciata sola»
«In 50anni nessuno ha cercato una cura per quell'epidemia che fece tantissime vittime, tra cui lei»
di Gian Guido Vecchi
LUANDA (Angola) – «Io accuso l’Europa, che sapeva ma in cinquant’anni non ha cercato una cura. In quell’epidemia morirono tantissimi bambini. Ma vede, questi bambini, tutte queste persone sono considerate di seconda categoria perché vivono qui, in Africa. Questo atteggiamento non è cristiano e non è umano». La signora Gabriella ha i capelli argentati e lo sguardo di sua figlia, una luce dolce che brilla dietro le lenti bifocali. «Maria diceva: se muoio in Africa, lasciatemi dove sono». La dottoressa Maria Bonino morì il 24 marzo del 2005 e l’indomani, Venerdì santo, la seppellirono in un cimitero angolano. La sua storia commosse l’Italia e il mondo: pediatra, volontaria dell’associazione “Medici con l’Africa Cuamm”, era responsabile del reparto infantile dell’ospedale di Uige e da mesi lavorava giorno e notte per assistere e cercare di curare i bambini colpiti dall’epidemia di febbre emorragica che infine, per stare vicino ai suoi bimbi, avrebbe ucciso anche lei: virus di Marburg, simile all’Ebola. E’ la prima volta che la madre trova la forza di venire in Angola, si avvicina l’anniversario e andrà a trovare Maria al cimitero. Racconta la sua storia nel centro Cuamm di Luanda, accanto a sé i volontri e don Luigi Mazzucato, per 53 anni direttore dell’associazione nata nella diocesi di Padova, la prima ong sanitaria (www.mediciconlafrica.org) riconosciuta in Italia, la più grande nella tutela della salute delle popolazioni africane.

L'INCONTRO DELLA MADRE CON IL PAPA - Sabato mattina la signora Gabriella ha incontrato Benedetto XVI nella chiesa di São Paulo, dopo la messa. E domenica il Papa, nell’incontro con i movimenti cattolici per la promozione della donna, citerà ad esempio la testimonianza e il sacrificio di sua figlia. Parlando con i giornalisti, nel volo verso l’Africa, Benedetto XVI aveva invocato «una vera amicizia verso le persone sofferenti, la disponibilità anche con sacrifici personali ad essere con i sofferenti». La signora mormora: «Oso dire che Maria è stata spinta da un esperienza interiore, sa, in famiglia siamo cattolici praticanti; anche il papà, che era medico, diceva sempre: bisogna dare, fare, ricordarsi degli altri». Sospira, fa un pausa. «Io sono solo un’insegnante in pensione», alza le spalle, e viene da invidiare i ragazzi che per decenni l’hanno avuta come professoressa di greco e latino. Dolce e forte, la signora Gabriella.

«NESSUNO AIUTO MIA FIGLIA» - «La cosa più triste è che Maria aveva previsto che stava per accadere una cosa così grave. I bambini morivano senza motivo. Lei cominciò nell’ottobre 2004 a segnalare i primi casi sospetti, fino a febbraio del 2005 nessuno si fece vivo». Furono mandati campioni anche in Usa e Sudafrica. Solo il 22 marzo, due giorni prima della morte della dottoressa, e quando già erano morti almeno 80 bambini, secondo le cifre ufficiali, fonti ministeriali segnalarono che “da un preliminare rapporto Oms si escluderebbe l’Ebola, mentre si indica che dai sintomi riscontrati si possa trattare di “febbre di Marburg”. Solo che il virus di Marburg era stato individuato dal 1967 nell’omonima città tedesca. La signora Gabriella alza lo sguardo, la sua denuncia è netta: «Sì, io mi sento di accusare enormemente l’Europa. Allora, nel ’67, erano morti tre tecnici, mandarono i campioni ad analizzare. In quarant’anni non fecero nulla. Era un virus dell’Africa, che importa all’Europa? La cura non serve. Anche Maria denunciava questa indifferenza». Ne sapeva qualcosa, dopo aver lavorato come volontaria per quasi undici anni con “Medici per l’Africa Cuamm” tra Tanzania, Burkina Faso, Uganda, Angola. Nell’epidemia del 2004-2005, ufficialmente, morirono 102 bambini, «ma Maria parlava di almeno un migliaio di casi». Oggi, racconta, i suoi vecchi compagni di scuola hanno creato una fondazione (www.fondazionemariabonino.it) che prosegue la sua opera. «Sa, mia figlia aveva il carattere tenace di noi biellesi. Alla fine della sua vita, quando ormai stava morendo, ha lasciato scritto: credo di aver realizzato il sogno della mia vita».





mercoledì 2 dicembre 2009

Lettera aperta


Buongiorno a tutti
eccomi qui di nuovo. Sono tornata dal viaggio nel nord del paese sabato. Il viaggio è stato lungo ma come al solito pieno di bei paesaggi e cose da vedere. La città di Mbanza Congo è una città di fango più o meno, o così mi è sembrata...la pioggia in questa stagione cade che sembra un diluvio e stando nelle case-baracche dal tetto di lamiera non ci si può neanche parlare...ho fatto la prima notte mezza insonne per la pioggia che sembrava portar via tutto. Il viaggio ha anche rivelato i mille problemi di questa organizzazione che non sa scegliere i lavoratori locali, quindi uno si è ubriacato – ma non era pericoloso solo comico- e un altro si è fottuto un sacco di soldi del viaggio. Li gestiva lui perchè in teoria lavora nel progetto da più tempo, ed è “più serio”, ma si è fregato molti soldi con grande disinvoltura e gli altri si sono arrabbiati perchè...non ha diviso un po' con loro...eh eh eh con queste teste il progetto non va molto avanti secondo me e d è per questo che la mia leader ci lascia, ma starà sempre in Angola, e non si sa chi verrà.
Io non sono preoccupata per questo, il progetto si bloccherà perchè Lina aveva contatti e tutto ma siccome io mi sto dando da fare con altre cose e me ne frego un po', basta che mi diano quei pochi soldi che mi danno ogni mese e vaffanculo.

Arriviamo alle cose importanti.
Ieri sono finalmente riuscita ad incontrare due persone, un'infermiera in pediatria capo di un posto di salute in una zona periferica e un prete missionario -credo sia cappuccino- angolano ma che ha studiato molto a Padova e in Sardegna.
Ieri è stata una giornata intensa.
Due persone fantastiche, differenti dalla maggior parte degli angolani dei quali non è facile averefiducia.
La signora sta cercando di diminuire la malnutrizione usando la soia, invece che la manioca, che come vi ho detto qui mangiano sempre ma non ha proprietà nutritive importanti. Tra l'altro utilizza altre piante locali per migliorare le condizioni dei sieropositivi e il trattamento della malaria.
Adesso come adesso però manca di sementi e qui tutto è carissimo e la soia non è prodotta e deve essere importata da un'altra parte del paese -e il trasporto è caro-. Tra l'altro hanno una maternità ma non hanno un ecografo.
Insomma ho fatto la mia solita domanda: come posso essere utile? Le servono i semi. Li sto trovando, alcuni già li ho procurati e devo organizzare un micro progetto -ma qui è tutto lentissimo e così “falso” e così dipe3ndente dal rapporto che si ha con le persone- per distribuire degli alberi etc...ma dipende davvero da alcune cose che con lo sviluppo non c'entrano nulla.
Le zanzariere da distribuire alle donne incinte le ho già trovate, le ho chieste a lina e ne ho duecento, che sono nulla, ma fanno qualche cosa per cominciare.
Poi ho incontrato Padre Eduardo, nella sua missione. Abbiamo parlato molto, mi ha mostrato la missione, dove ci sono una scuola, una maternità, un posto di salute -un'infermeria più o meno- dove ci sono dei medici volontari che vengono in certi orari, e la casa delle suore -4 portoghesi- e alcune novizie locali.
E poi la casa del prete dove in un dormitorio e in un garage dormono 19 ragazzi dai 7 ai 16 anni, più un vecchio. Accusati di essere “fetiçeiros”. Qui si pratica la magia nera, some in tutta l'Africa, e il “fetiçeiro” è la persona che ha ingaggiato uno stregone, o ha fatto una magia direttamente, per far morire o succedere qualche cosa di brutto a qualcun altro.
Significa che sono stati accusati di aver fatto morire qualcuno o etc etc...di essere stregoni più o meno.
Le conseguenze? Venivano picchiati dalla famiglia, verrebbero uccisi dalla tribù a bastonate o altro...anche dalle madri o dai padri.
Quindi la soluziona è il Prete, che ora non ha più posto e non può accettarne più , e siccome non ha posto per le ragazze non può accettarne ma chissà quante ce ne sono.
I ragazzi dormono e mangiano e vanno a scuola lì, ma non escono da questo compound...perchè hanno paura di essere uccisi.
La verità? E' che l'Africa è ancora arretrata e piena di credenze assurde...ma del resto quanti di noi vanno a farsi fare le carte o il malocchio??

Il piccolo Pedrito, 7 anni, ha visto il padre suicidarsi davanti ai suoi occhi e ha delle turbe mentali -e ci credo! Il padre si è sventrato oltretutto-, poco tempo dopo il fratello è morto e questo l'ha sconvolto ancora di più...e la famiglia l'ha accusato di essere il colpevole di tutto ciò e la sua unica salvezza è stato Padre Eduardo.
Un altro ha crisi epilettiche e questo ha fatto si che fosse accusato di essere posseduto.
A volte sono le stesse famiglie che li portano nella missione, a volte solo un fratello o uno zio o qualcuno che ha un po' più di buon senso e non vuole vederlo morto. Come mi ha detto il Padre dopo fanno le orazioni etc etc...ma molti non vengono più a visitare i figli -un ragazzino ha smesso di palare- e nessuno paga niente.
Il Padre li alimenta con le elemosine domenicali e alcune offerte di Ngo, imprese o senso di carità di chi passa e conosce il posto ma qui è tutto carissimo, il cibo prima di tutto, l'acqua non arriva nella missione, e alcuni bambini dormono in due su un materasso solo -alcuni che vogliono stare più isolati dormono in una specie di garage senza porta,letti e finestre-...vi lascio immaginare.

Ho chiesto anche a lui quello di cui ha bisogno, come mi ha insegnato un signore che c'era in UK, un camerunese che ha studiato e vissuto per anni a Perugia-coincidenze- e fatto il mio stesso percorso nel College - John-,e mi ha risposto “cibo”.

Adesso come sapete le mie disponibilità economiche sono più che ridotte allora la mia idea è stata questa...andrò a batter cassa da alcune grandi imprese petrolifere etc che ci sono qui, ho il nome di alcuni italiani e vediamo se riesco a scucire qualche cosa, in verità la crisi economica chiude le borse di tutti quanti ma, diciamolo, il profitto è solo calato non finito del tutto...quindi vediamo, sarà un salto nel vuoto perchè non li conosco, ho solo i nomi e per avere un appuntamento ci vorrà una vita.

La seconda cosa è organizzare un'adozione a distanza, e in questo avrò bisogno di voi.
La vita di ogni bambino, comprensivo di scuola etc costa circa 700 dollari americani all'anno, lo so che per l'idea di Africa che abbiamo questo è molto ma credetemi che l'angola è un paese pazzo. I prezzi dei cibi sono alle stelle, costano come, e se non più dell'Europa.
Ad esempio un litro di olio di soia costa 250 kwanzas la moneta locale, 2,50 dollari!!!!
Cento dollari americano -la moneta ufficiosa- sono cambiati in banca a 820KW..niente..al mercato nero si può arrivare a volte a 950 -il massimo prezzo da quando sono qui- ma molte volte a 850 o 900..insomma ci si perde un sacco e le fluttuazioni del dollaro sul mercato internazionale fanno si che i prezzi del cibo, della benzina etc salgano...senza poi scendere più.
Quindi in verità 700 dollari sono nulla...un sacco di riso -credo più di 20 kg- costa tra i 50-60 dollari, un pollo costa 3 dollari ma senza cosce e molte volte non intero, le uova hanno un prezzo assurdo dalle 30 alle 45 KW cada uno...significa quasi 50 centesimi ognuna. Calcolando il dollaro e l'euro vi fate un'idea del prezzo di tutto.

Da qui l'idea di creare un'adozione a distanza, il prezzo sarebbe di 60 dollari al mese, ma siccome mi sembra forse elevato ho pensato che a volte possiamo fare mezza adozione. L'impegno dovrebbe essere per 12 mesi.
Sto elaborando un foglio, devo scattare delle foto etc etc ma mi piacerebbe sapere già da adesso che ne pensate.
Molti di voi hanno un reddito, alcuni stanno studiando ma hanno una famiglia alle spalle...e da quando sono qui mi sono resa conto che siccome siamo nella parte fortunata del mondo non ci rendiamo neanche conto di quanto spendiamo e come. Allora se un bambino qui vive con 60 dollari al mese, certo non va al cinema non compra vestiti non compra giochi non compra cibi particolari e fa solo tre pasti al giorno, noi spendiamo 60 dollari -che sono circa 60 euro- in un nulla.
Volete esempi???
Ve ne faccio con me stessa:
se vado dal parrucchiere -una volta l'anno, ma molti ci vanno una volta al mese almeno, spendo intorno ai 100 euro-; se vado dall'estetista una ceretta totale costa 22 euro -se non di più-; se fumo spendo intorno ai 5 euro, e chi fuma molto compre un pacchetto ogni due giorni o ogni giorno; se vado a cena fuori spendo dai 20 ai passa euro -dipende con chi e dove...ma molti di noi hanno bevuto vino per 50 euro a bottiglia e mangiato filetto per 30 euro al piatto-; se vado fuori a far serata si possono spendere 60 euro in una notte -i veglioni di capodanno o dei ceri costano 100 e passa euro-; se vado al mercato ogni martedì -sabato ad Adria...non ricordo che giorno a Palermo- facilmente spendo 10 -20 euro in cose che sono di assoluta-necessità-sì-sì-sì...insomma inutili vestiti che tanto già ho due armadi pieni di roba.
Potrei andare avanti per ore ma ho pena di me stessa e del sistema.
Chiariamo non condanno, non accuso e niente del genere, mi mancano i miei vestiti nell'armadio, la mia doccia calda, e le mie scarpe con il tacco, lo spritz con gli amici e la cena fuori, ma a parte ciò credo davvero che nel momento in cui si incontra qualcuno che necessita non ci si possa tappare gli occhi.

Questo Prete è uno dei pochi angolani che mi ha ispirato vera fiducia, con il suo lavoro le sue parole e il modo che ha con i bambini e per quello che mi ha detto...”imparato da frate..-non ricordo il nome un italiano cappuccino morto in un incidente aereo qui-...lui mi ha detto..comincia a raccogliere questi bambini poi vedrai come mantenerli..”.
Da quando sono qui ho avuto due settimane di malaria, una di tifo, sto lottando con mille persone, con l'igiene e con l'approvvigionamento di acqua potabile e non, solitudine, povertà e abusi, ma non ho mai pianto. Oggi è completamente differente.

Sembra retorica ma si avvicina il Natale, a dire la verità non so dove lo passerò -forse con altri DI- né sembra natale, con caldo afoso e tutto fiorito, pochi alberi di natale iper-finti che ho visto in giro e assenza di regali e soprattutto famiglia e amici...a dire la verità, a parte la famiglia e gli amici, non me ne frega niente del resto, che trovo ormai da un po' abbastanza soffocante e finto. Ma pensavo negli ultimi giorni che è quasi natale e che normalmente sto per tornare a casa dall'università o altri posti, trovo la stufa accesa, l'albero con le luci e il calendario dell'avvento che adoro...e ieri ho incontrato questa persona e tutto ha cambiato di senso, perchè che a me non me ne freghi niente ok ma che si possa fare qualche cosa per gli altri mi sembra quasi un modo per riscoprire davvero una festa che ha perso di senso oramai da tempo, almeno per me.

Quindi adesso lascio a voi la parola e vi mando un abbraccio collettivo, io sto bene...

Rosa Chiara